Funziona davvero? A metterci la mano - non sul fuoco, ma sul Pos - è stato lo stesso amministratore delegato di UniCredit, Federico Ghizzoni, che lo scorso 21 dicembre in una boutique milanese di cosmetica ha sperimentato di persona il primo sistema di pagamento elettronico che utilizza una tecnologia biometrica di ultimissima generazione. Niente tessere Bancomat, niente codici inviati da smartphone, niente pin, ma la semplice imposizione di una mano, per pochi secondi, davanti al lettore: un sensore applicato al Pos, attraverso lo spettro emesso dall'emoglobina presente nel sangue quando colpita da un impulso elettromagnetico, riconosce la mappa delle vene e delle arterie della mano, una combinazione unica per ciascun individuo. Il sistema traduce simultaneamente questa mappa in un codice numerico univoco, e autorizza il pagamento. È naturalmente necessario che l'utente accetti di registrarsi al servizio, permetta al sistema di tradurre le vene della sua mano in una serie di numeri e, da quel momento in poi, ogni volta che avvicinerà la mano al sensore, il sistema lo riconoscerà in maniera certa e univoca. Non solo: il codice personale, una volta creato, non consente di risalire alla rappresentazione della mappa della circolazione sanguigna della mano, mettendo così al sicuro la privacy dell'utente.
Si chiama Papillon ed è il primo frutto del Centro di R&D avviato da UniCredit a Milano a metà ottobre e che, come spiegano Marco Berini e Riccardo Prodam - responsabili R&D in UniCredit, «ha l’ambizione di voler portare in Italia la leadership in un settore, come quello delle tecnologie in banca, che non si è mai distinto per forte capacità di innovazione».
Qual è, per un gruppo grande e strutturato come UniCredit, il plus di avere al proprio interno un centro dedicato alla ricerca e sviluppo in campo tecnologico?
Riccardo Prodam: «Il centro di R&D ha preso il via il 15 ottobre, si tratta di una sfida importante e innovativa, e già essere arrivati a fine dicembre con l'implementazione di Papillon sul fronte consumer è un grande traguardo. Attualmente il nostro team è composto da 7 persone e abbiamo messo a fattor comune diverse competenze: ci sono informatici, matematici, ma per esempio anche due designer, perché sappiamo bene quanto oggi il successo di una tecnologia dipenda anche dalla sua interfaccia, dalla user experience, dall'immediatezza con cui gli utenti l'adottano. Vale per un Pos, ma vale anche per le interfacce grafiche di un sito o di un'applicazione. La prospettiva è quella di crescere: abbiamo contatti, rapporti e scambi di idee con tante realtà, docenti universitari e ricercatori, ma tendiamo a internalizzare le risorse e lo sviluppo dei progetti, ci pare la strada vincente. Anche perché lavoriamo su progetti a medio lungo termine, con delivery non prima dell'anno e mezzo: sviluppare progetti a breve termine, a tre mesi, non ha senso, perché significa che non stai sviluppando progetti davvero innovativi».
UniCredit opera a livello europeo. Perché tenere la Ricerca e Sviluppo a Milano?
Marco Berini: «Il Centro è nato a Milano per un motivo quasi fortuito, perché tante persone del team avevano base a Milano e così siamo qui. Ma è una realtà ovviamente a disposizione di tutto il gruppo a livello internazionale. Certo, lavoriamo su temi e tecnologie che non hanno confini, però a muoverci, soprattutto in questi primi mesi intensi di lavoro, c'è anche l'orgoglio di aver dato all'Italia un ruolo di leadership in un settore importante, come quello delle tecnologie in ambito bancario. Vogliamo dimostrare che si possono fare grandi cose»
Il prodotto d’esordio, Papillon, pare rivoluzionario. Come nasce il progetto?
Berini: «Siamo partiti da un'osservazione di tutte le tecnologie di micropagamento esistenti e in fieri e soprattutto di quelli che sono oggi i macrotrend più significativi. Risultano vincenti e hanno una possibilità di durata maggiore, quelle tecnologie che sono "invisibili" all'utente, che non richiedono troppi passaggi, interfacce o device aggiuntivi, ma anzi accompagnano e assecondano comportamenti innati. Se ragioniamo su questo aspetto, ci accorgiamo che da sempre, nella storia, la mano è lo strumento fondamentale quando si stringe una decisione, si stipula un patto, e - come in questo caso - si effettua un pagamento. Papillon da questo punto di vista ha anche un portato culturale, oltre che tecnologico».
Dal punto di vista della sicurezza del sistema, che garanzie ci sono?
Prodam: «Il livello di sicurezza di Papillon è allo standard massimo che attualmente si può garantire, il parametro è uno-20 milioni e abbiamo sviluppato e brevettato algoritmi per il riconoscimento “da uno a n”. Non solo. Scelta la strada di ragionare su un sistema biometrico, abbiamo voluto rispettare due criteri: che fosse un sistema non invasivo, e quindi abbiamo escluso la lettura dell'iride, e che fosse touch-less, anche perché essendo uno strumento di utilizzo da uno a molti il touch-less garantisce un livello di igiene maggiore rispetto, per esempio, alle tecnologie finger print, che sfruttano l'impronta digitale».
Ci sono partner tecnologici con cui avete lavorato per questo progetto?
Prodam: «Attualmente lo sviluppo del sensore, cioè dell'hardware, è stato fatto da Fujitsu. È una tecnologia che Fujitsu già usa, per esempio, per fare il log-in nei propri computer; è utilizzata anche negli ATM in Giappone, abbinata però all'utilizzo del PIN. Con Papillon il sensore è lo stesso, ma la filosofia e la tecnologia cambiano completamente: non sono io utente che dico a te, sistema, chi sono attraverso strumenti di identificazione, ma è il sistema che "mi dice chi sono" leggendo i parametri biometrici della mia mano».
Quali sono gli sviluppi futuri di questo sistema e i prossimi passi di UniCredit nella sua implementazione?
Berini: «Come tecnologia di riconoscimento può avere un campo vastissimo di applicazioni, che vanno al di là dei pagamento. Per esempio, il sistema Papillon è stato testato per il controllo ingressi presso la sede centrale milanese di UniCredit, con il riconoscimento di 300 dipendenti. A breve decideremo come e quando avviare un test pilota sulla scala di migliaia di utenti. Stiamo ancora definendo se avviare il test su un campione a livello territoriale, sperimentandolo, per esempio, in una media città italiana o se invece testarlo su una specifica tipologia di business. È una scelta che stiamo definendo in questi giorni. Altra strada possibile che stiamo valutando è quella di sviluppare direttamente noi il sensore, quindi oltre al software impegnarci direttamente anche sul fronte hardware». (fonte: bancaforte)