Si apprende dagli organi di stampa che in Parlamento è pronto a partire l’iter di discussione di alcune proposte di legge di area governativa che prevedono la drastica riduzione delle aperture degli esercizi commerciali nei giorni festivi.
Si tratta, a nostro avviso, di una proposta totalmente insensata e disancorata dalla realtà e dai bisogni reali dei consumatori e del mondo produttivo.
Tale provvedimento, che limita fortemente la libertà di impresa, la concorrenza e la libertà di scelta dei consumatori riportando il Paese indietro di diversi anni, avrebbe ricadute negative sui consumi e sul Pil. Si stima che attualmente siano circa 19,5 milioni gli italiani che approfittano dei giorni festivi per fare acquisti, i quali verrebbero privati di un servizio di grande utilità.
A questi effetti va sommato l’impatto non certamente positivo che la misura avrebbe sugli occupati della Grande distribuzione organizzata, settore che attualmente vede impiegati circa 450 mila addetti, a cui vanno aggiunti quelli dell’indotto. Stupisce, anzi, che in un momento di grandi difficoltà economiche le organizzazioni a tutela dei lavoratori non mostrino preoccupazione a fronte di una proposta che mette a rischio migliaia di posti di lavoro.
Altro elemento di criticità riguarda la possibilità, prevista nelle proposte di legge, di affidare alle Regioni il compito di regolamentare orari e giorni di chiusura, che avrebbe come diretta conseguenza quella di peggiorare un quadro normativo già frammentato, e che già oggi costituisce uno dei principali ostacoli allo sviluppo economico del nostro Paese.
Si fa fatica quindi a comprendere l’utilità di una norma, che lungi dal tutelare i piccoli esercizi, costituirebbe soprattutto uno straordinario regalo ai colossi dell’ecommerce. Tanto più che le indagini condotte negli ultimi anni hanno riscontrato da parte dei consumatori un altro grado di apprezzamento nei confronti delle aperture domenicali.
Contro questa decisione per noi inaccettabile, poiché priva di buon senso e concepita al di fuori delle logiche di sviluppo ci opporremo in tutte le sedi, fino ad arrivare, se sarà necessario, alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.