Da alcuni anni, così come per tutti i settori dell’economia, anche la grande distribuzione sta facendo i conti con la crisi in atto. I numeri, che quotidianamente vengono scanditi dalle associazioni di categoria, evidenziano quello che oramai è sotto gli occhi di tutti. Lo scenario è radicalmente cambiato a tal punto che la GDO, dovendo fare i conti con la difficile situazioni venutasi a creare, ha iniziato ad abbandonare, seppur gradualmente, la formula dell'ipermercato. Basta considerare un dato: alla fine del 2012 gli ipermercati aperti sono stati solo dieci. Non solo. In Italia Coop ne sta dismettendo sei (in Toscana) e sta trasformando in superstore quelli delle regioni del sud (Campania, Puglia e Sicilia).
Altri gruppi hanno deciso di abbandonare il canale supermercato per focalizzare la propria attenzione su quella dei discount (gruppo Lombardini e gruppo Tuo) dove i costi di gestione sono più bassi.
Conad ha cambiato anima al suo negozio extra large di Rimini mentre i francesi di Carrefour sono usciti con la loro insegna dagli ipermercati di Puglia e Basilicata (altri li hanno dati in gestione hai loro master franchising presenti sul territorio (vedi centro commerciale di Portobolaro – RC). Tale tendenza è confermata anche dai dati relativi alle superfici di vendita e da quelli relativi al fatturato. Nel 2012, infatti, le superfici di vendita degli iper sono rimaste pressoché invariate rispetto al 2011 (+0,3%) a fronte di una crescita relativa ai 6 anni precedenti del 32%. In termini di vendite, invece, a fronte di un aumento dei volumi del venduto nei superstore, si è assistito ad una contrazione dell'1,4% negli iper, il che corrisponde ad un calo del fatturato pari al 2,4%. Quali i motivi? Aumento del costo della benzina (percorrere molti chilometri per raggiungere l’ipermercato non conviene più), calo di interesse per le grandi confezioni unite a grandi sconti. Meglio comprare poco, ma più frequentemente, magari bio ed etnico.
Il modello ipermercato fuori dai centri urbani è in difficoltà non solo in Italia ma in tutta Europa, e molte catene distributive hanno scelto di togliere spazio all'extra alimentare per concentrarci sul cibo, settore che garantisce comunque un rendimento.
Non si è messa la parola fine agli ipermercati ma le nuove iniziative si concentrano su metrature contenute, la vicinanza a città e paesi, la prossimità ai quartieri". Unica voce fuori dal coro è quella di Auchan che, al contrario, tendenzialmente l'ipermercato resterà il format del futuro, avendo come obiettivo quello di essere il meglio in Italia.
Ma non solo la crisi, ma anche i consumatori, essendo sempre meno disposti a spendere tempo per acquisti non fortemente motivanti, hanno contribuito a modificare lo scenario, spingendo le principali imprese della distribuzione organizzata, per far fronte all’aumento della concorrenza e per rispondere a stili di consumo sempre più multiformi e non legati che a fattori di convenienza, a ripensare il loro business.
Le innovazioni stanno interessando tutti i formati:
- l’ipermercato conosce un profondo ripensamento della sua funzione, certamente il più importante nei suoi oltre 60 anni di storia;
- il supermercato appare in molti paesi in calo per quanto riguarda le quote di mercato e deve quindi trovare nuove strategie per arrestare il declino e non farsi schiacciare dalle altre tipologie;
- l’hard discount, dopo la folgorante crescita degli anni ’90 su quasi tutti i mercati sviluppati, e dopo una fase di stagnazione per quanto riguarda il tasso di penetrazione tra i clienti potenziali e l’ammontare dello scontrino medio, ha dovuto cambiare pelle inventandosi nuove formule (soft, supermercato ibrido, ecc.) per poter mantenere quote di mercato e, magari, acquisirne delle altre (gli ultimi dati dimostrano che è l’unico canale in crescita di fatturato);
- Le formule di vicinato, come alcuni studi di settore hanno previsto, stanno riprendendo vigore e diversificandosi in maniera in qualche caso sorprendente.
Si tratta forse dell’innovazione più importante e carica di significato di questi primi anni del XXI° secolo: dopo decenni basati su uno sviluppo delle grandi dimensioni e del commercio extra o periurbano, si riscopre l’interesse di portare le strutture commerciali in prossimità dei consumatori. Se il cambiamento si riducesse a questo, sarebbe un po’ la scoperta dell’acqua calda, invece è decisamente più importante per almeno due ragioni: da un lato, le strutture commerciali si collocano non solo vicino alla residenza dei consumatori, ma anche – e forse soprattutto – vicino ai luoghi di maggiore flusso; in secondo luogo, non si tratta più di piccole imprese indipendenti, ma di format sviluppati e gestiti da grandi imprese della distribuzione insieme ad altre formule che giocano maggiormente la carta dell’attrazione.
Operano certamente a favore di questa tendenza allo sviluppo fattori economici e culturali. Sul piano economico, l’aumento ormai esponenziale e duraturo del prezzo dei carburanti non spinge certo i consumatori a percorrere decine di chilometri per fare la spesa settimanale o quindicinale.
Sul piano culturale, il tempo è diventato una risorsa sempre più scarsa e più preziosa ed i consumatori sono sempre meno disposti a spenderlo per acquisti non certo fortemente motivanti, come la spesa alimentare.
Tutte le imprese, o quasi, stanno cavalcando questa tendenza e gli esempi sono molteplici:
- U Express, l’ insegna di prossimità lanciata recentemente dalla cooperativa francese;
- Rewe City, il format sviluppato anch’esso alcuni mesi orsono dal gigante tedesco;
- I supermercati “urbani” proposti da Champion e Casino;
- Il progenitore della specie, Tesco Express;
- Le insegne di prossimità del gruppo Carrefour: Shopi, 8àHuit e Proxi;
- Le superette specializzate “Casitalia” di Casino;
- Symply Food, l’insegna di convenience stores di Marks & Spencer;
- Monop, il format di “ultraprossimità” di Monoprix;
- Eroski Merca, il punto vendita convenience che il gruppo basco sta testando in Spagna;
- I nuovi concept Conad City e PuntoSimply nel nostro Paese;
- I nuovi Penny Market che Rewe sta sperimentando sul mercato italiano.
La tendenza è arrivata anche negli USA, sia pure con dimensioni e concetti ancora una volta differenti ed adattati a quel Paese. Il calcio di avvio dello sviluppo è stato lo sbarco di Tesco con il suo format completamente nuovo e studiato su misura per il mercato nord americano, Fresh & Easy. Si è trattato probabilmente dello sbarco internazionale più annunciato e lungamente pubblicizzato della storia, dal momento che già un anno prima di aprire le porte del primo punto vendita, Tesco comunicava sul nuovo format e la stampa specializzata rivaleggiava nel cercare di indovinarne le caratteristiche principali. Come noto, i primi sei punti vendita hanno aperto contemporaneamente le porte nel sud della California, primo passo di uno sviluppo molto rapido, che ha portato il numero uno inglese ad avere in meno di un anno una rete di una sessantina di punti vendita.
Il format Fresh & Easy ha una superficie media di 1.500 mq e si propone, come affermato dal management del gigante inglese, di colmare il gap esistente tra le grandi superfici che richiedono ai clienti molto tempo per frequentarle ed i tradizionali supermercati, la cui offerta è giudicata insufficiente dai consumatori.
Per fare questo, Tesco ha scelto di proporre un assortimento composto anche da molti prodotti pronti per il consumo ed ha puntato su una molteplicità di prodotti a marchio, uno dei suoi punti di forza in tutti i mercati nei quali l’impresa è presente. Sull’onda dello sbarco di Tesco, pressoché tutte le principali imprese hanno sviluppato format più piccoli e di prossimità:
Wal-Mart ha aperto i primi “Marketside”, Whole Foods ha lanciato “Express”, Safeway ha aperto il suo convenience con l’insegna “The Market”, imitato da Giant Eagle, anch’esso con un format “Express”, mentre SuperValu ha lanciato “Urban Fresh” sotto l’insegna controllata Jewel. La caratteristica di base di questi format nord americani è una dimensione intorno ai 1.300/1.500 mq, decisamente inferiore a quella dei supermercati medi; l’altra caratteristica è la localizzazione molto prossima a villaggi e zone residenziali importanti, con la conseguenza che non è richiesta l’auto per recarvisi; terzo punto forte, l’offerta fortemente orientata verso prodotti freschi e marche commerciali.
Per Tesco il mercato nord americano non si è rivelato per ora un letto di rose; come del resto si era mostrato molto difficile per quasi tutti i grandi retailers europei che avevano cercato senza successo di entrare nel corso degli anni ’80. Dopo un periodo di riflessione Tesco pare stia per lasciare il mercato Nord Americano.
Ritornando sul Vecchio Continente, due esempi ci sembrano di particolare interesse e pertanto li analizziamo in profondità nei box in queste pagine:
Simply Food e Monop.
Come abbiamo cercato di illustrare, i nuovi format convenience si propongono al tempo stesso di sfruttare le economie di scala e di dimensione legate all’appartenenza a grandi organizzazioni e di offrire servizio di alto livello e di prossimità ad un consumatore spesso stressato, con poco tempo disponibile, in ogni caso con un buon reddito.
Per ottenere questi due obiettivi le imprese stanno seguendo alcune piste comuni:
- grande peso delle marche del distributore nell’assortimento;
- forte capacità innovativa sia nella costruzione dei prodotti a marchio, che nell’individuazione di nuovi fornitori per prodotti ad alto contenuto di servizio;
- centralizzazione spinta di tutte le funzioni non strettamente legate alla vendita;
- contenimento dei costi sul punto vendita grazie anche all’applicazione del libero servizio integrale;
- utilizzo di sistemi tecnologici avanzati per la gestione: dalle etichette elettroniche gestite con un sistema wi-fi ai sistemi di riordino semiautomatici che prevedono la gestione delle vendite e dello stock in tempo reale.
Anche nel caso dei convenience sarebbe sbagliato guardare all’estero come a un modello da copiare, ma sarebbe anche, a nostro avviso, profondamente sbagliato barricarsi dietro una presunta “particolarità” del nostro Paese e dei suoi consumatori. Abbiamo visto in altri casi che esistono certamente delle specificità e dunque degli adattamenti necessari, ma che le grandi correnti di consumo e di innovazione delle formule non risparmiano affatto il nostro Paese. Per alcune tipologie, come l’ipermercato ed il discount, abbiamo perso da tempo la corsa ed il mercato è dominato da imprese straniere.
Per i format convenience la lotta è ancora aperta, ma non lo sarà per molto; occorre quindi studiare attentamente quanto sta avvenendo ed agire rapidamente anche in Italia. Le competenze e gli strumenti, anche tecnologici, esistono, sarebbe imperdonabile non metterci la volontà politica e gli investimenti necessari.