Concorrenza: tutti ne parlano, ma pare che a nessuno, in fondo, interessi. Tanto che l’annuale indice delle liberalizzazioni dell’Istituto Bruno Leoni colloca l’Italia a metà classifica nel confronto con i Paesi dell’Europa a 28.
Nonostante l’apertura dei mercati e l’incentivo alla concorrenza siano autentiche leve di stimolo per il rilancio e la crescita dell’economia, a più di sei anni dall’inizio della recessione l’Italia ha compiuto solo qualche piccolo, timido passo in avanti rispetto al 2009, l’anno in cui prese avvio la “grande congiuntura”.
E’ il caso dei farmaci di fascia C, in discussione al Senato. La petizione lanciata da Conad sta incontrando il consenso dei cittadini: «Un primo blocco di centomila firme sarà consegnato in tempi brevi alla presidenza del Consiglio – puntualizza l’amministratore delegato di Conad Francesco Pugliese –, prima dell’avvio della discussione in Senato. Porteremo comunque avanti il nostro impegno anche in altre, opportune sedi». L’obiettivo è sollecitare il governo a prevedere nel Ddl concorrenza la libera vendita di questi farmaci anche nelle parafarmacie. Una petizione, questa di Conad, sostenuta dalla consapevolezza che il danno maggiore della mancata liberalizzazione sarebbe per i consumatori e la figura professionale del farmacista che opera nelle parafarmacie continuerebbe ad essere oggetto di un differenziazione immotivata con quella del farmacista della farmacia tradizionale.
L’occasione per parlarne è stata la presentazione, a Roma, della ricerca dell’Istituto Bruno Leoni sugli effetti delle liberalizzazioni dei farmaci a carico dei cittadini.
L’Antitrust si è più volte espresso per la liberalizzazione della vendita dei farmaci di fascia C, “una misura che consentirebbe un incremento delle dinamiche concorrenziali nella fase distributiva di tali prodotti, con indubbi benefici per i consumatori anche in termini di ampliamento della ‘copertura distributiva’, non più rappresentata dalle sole farmacie, ma arricchita dai punti vendita della grande distribuzione o dalle parafarmacie presenti nel territorio”. Una liberalizzazione che potrebbe tradursi in un risparmio annuo per i cittadini compreso tra 450 e 890 milioni di euro (applicando uno sconto tra il 15 e il 30 per cento), considerando che i farmaci di fascia C – con obbligo di ricetta medica (bianca) e non rimborsabili dal SSN – hanno un prezzo medio di 11,8 euro, 3,7 euro più elevato rispetto a quello dei farmaci senza obbligo di ricetta.
Attualmente il mercato farmaceutico è per l’86 per cento un monopolio legale delle farmacie (fascia A e fascia C) e per il restante (Sop e Otc liberalizzati) il 92 per cento delle vendite avviene ancora nel canale delle farmacie. Con la liberalizzazione le farmacie hanno perso solo l’8 per cento dei farmaci senza obbligo di prescrizione, vale a dire l’1 per cento del mercato farmaceutico complessivo. La liberalizzazione della fascia C, che rappresenta circa il 16 per cento del mercato farmaceutico, farebbe salire al 30 per cento la quota di mercato aperta alla concorrenza, lasciando comunque alle farmacie l’esclusiva sul restante 70 per cento.
Visto che, secondo i dati Federfarma, il giro d’affari delle farmacie è composto per il 49 per cento dai farmaci di fascia A, per il 12 per cento dai farmaci di fascia C, per il 9 per cento dall’autocura (Sop e Otc) e per il restante 30 per cento da prodotti non farmaceutici (parafarmaco, omeopatici, prodotti per l’infanzia, igiene e bellezza etc.), la liberalizzazione della fascia C riguarderebbe solo il 12 per cento del fatturato delle farmacie. Oggi le farmacie raccolgono dal libero mercato il 40 per cento del proprio fatturato (prodotti non farmaceutici più farmaci senza obbligo di ricetta), riuscendo a farlo senza sminuire la propria professionalità e con buoni risultati, visto che nei primi sei mesi del 2015 è stato proprio il mercato commerciale – quello liberalizzato – a far registrare il migliore trend di crescita, +4,8 per cento rispetto al primo semestre del 2014.
«Le liberalizzazioni sono fondamentali per aiutare la ripresa economica del Paese e dei consumi interni promuovendo lo sviluppo di nuova imprenditoria», sottolinea Pugliese. «Sono una misura che consentirebbe un incremento delle dinamiche concorrenziali nella fase distributiva dei prodotti, con indubbi benefici per i consumatori. Inoltre non “pesano” sul bilancio dello Stato, abbattono i costi attraverso lo sviluppo della concorrenza e producono una riduzione dei costi dei servizi e dei prodotti stessi. Impedire l’ammodernamento del Paese equivale a voler mantenere anacronistiche rendite di posizione perdendo di vista altri, ben più gravi pericoli che si profilano all’orizzonte».
«Un tema, questo, che ci sta molto a cuore, sia in termini di nuova occupazione sia di riconoscimento del ruolo professionale del farmacista nella parafarmacia: stessa laurea, stesso Albo professionale, stessa competenza. Perché trattarlo come un professionista di serie B?», sottolinea il presidente della Federazione Nazionale Parafarmacie Italiane Davide Giuseppe Gullotta. «Siamo, piuttosto, per dare vita ad un sistema integrato di dispensazione del farmaco basato sulla compartecipazione alla salvaguardia della salute dei cittadini, non certo per minare il ruolo della farmacia tradizionale e del suo farmacista».
«I farmaci di fascia C senza obbligo di ricetta possono essere venduti fuori dalle farmacie, mentre sono ancora di esclusiva vendita delle farmacie, paradossalmente, quelli con obbligo di ricetta», puntualizza il vice direttore dell’Istituto Bruno Leoni Serena Sileoni. «La condizione di una ricetta firmata dal medico curante, oltre alla presenza obbligatoria di un farmacista anche in spazi di vendita estranei alle farmacie, rendono davvero incomprensibile questo limite, dal punto di vista della sicurezza terapeutica. La strenua opposizione alla completa liberalizzazione dei farmaci di fascia C deriva soltanto dalla difesa di posizioni acquisite di mercato e da resistenze culturali che non hanno nulla a che vedere con la salute delle persone né con l’accessibilità di prezzo dei medicinali».
Che l’Italia sia un Paese ancora poco modernizzato è confermato dall’Istituto Bruno Leoni stesso, che gli ha attribuito un punteggio pari a 67 su 100. Davanti ci sono 12 Paesi, a partire dal Regno Unito (95) che serve ormai da benchmark europeo per quanto riguarda la liberalizzazione di molti settori; poi, Paesi Bassi (79), Spagna e Svezia (77), Austria, Germania, Irlanda e Polonia.
L’Italia è passata da un indice di liberalizzazione di 51 nel 2009 a 67 del 2015. Se sei anni fa tra i settori più liberalizzati spiccavano il settore energetico (77), il trasporto aereo (68) e la televisione (67), oggi a interpretare il ruolo sono le telecomunicazioni (96), il mercato elettrico (79) e la televisione (79).
Fanalino di coda i carburanti per autotrazione (40) su cui pesano tre fattori: il prelievo fiscale, il prezzo della materia prima al netto delle imposte, la scarsissima modernizzazione della rete distributiva.
Nonostante il decreto Salva Italia del 2011 abbia deregolamentato la vendita al dettaglio dei carburanti “tagliando” alcune limitazioni al self-service (vale a dire la gamma di prodotti che è possibile vendere assieme al carburante e consentendo l’apertura di impianti vicino ai supermercati), la situazione è ancora alquanto deficitaria. In questo settore, il Paese più liberalizzato è il Lussemburgo (100), seguito da Austria, Polonia e Regno Unito.
Oggi l’Europa si misura con la stagnazione, la disoccupazione (soprattutto giovanile), una produttività decrescente con deficit e debito pubblico alti, la fragilità del settore finanziario e un disagio sociale sempre più forte. L’Italia, da parte sua, necessita di scelte “coraggiose”, di riforme che funzionino da innesco per la ripresa, a cui non sono certo estranei l’apertura dei mercati e lo sviluppo della concorrenza. Le liberalizzazioni aiutano l’economia e le fasce sociali più deboli, migliorano l’efficienza dei processi produttivi e ampliano anche l’offerta di servizi e di prodotti.
Se il Parlamento darà il consenso, i cittadini potranno curarsi risparmiando, senza considerare i benefici che l’apertura di nuove parafarmacie porterà in termine di occupazione per molti giovani farmacisti.